Eureka Previdenza

Sentenza 232 del 7 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, nel procedimento tra D. M. e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di un agente penitenziario, che ha chiesto di beneficiare del congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre malato.

Il Ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivono, ha rigettato l’istanza. Il ricorrente ha impugnato tale diniego con ricorso cautelare, accolto dal rimettente con ordinanza 13 luglio 2016, n. 901, poi riformata dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con ordinanza 21 ottobre 2016, n. 4750, che ha richiamato a fondamento della decisione la «contestata sussistenza del requisito della convivenza con la persona disabile».

Il ricorrente ha instaurato il giudizio di merito per ottenere l’annullamento del provvedimento di rigetto e ha dedotto, in primo luogo, violazione di legge, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione errata e ingiustizia manifesta. A parere del ricorrente, l’amministrazione non avrebbe esaminato lo stato di famiglia, che dimostra come la residenza anagrafica del ricorrente coincida con quella del genitore e come nessun altro fratello benefici del congedo richiesto.

L’amministrazione, inoltre, avrebbe violato l’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), poiché non avrebbe preventivamente comunicato il preavviso di rigetto.

Il giudice a quo evidenzia, preliminarmente, che tale ultimo motivo di ricorso deve essere disatteso, perché l’amministrazione ha fondato il rigetto sulla mancanza di una preesistente convivenza e, a fronte di tale motivazione, il ricorrente non potrebbe addurre elementi idonei a mutare il provvedimento adottato.

Quanto al primo motivo di ricorso, il rimettente reputa non fondati i rilievi del ricorrente, che conducono a identificare la convivenza nella mera residenza anagrafica. L’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 subordina al requisito della pregressa convivenza la concessione del congedo straordinario retribuito, che non può essere esteso oltre le ipotesi tassativamente previste dalla legge. È su tale requisito che si incentrano i dubbi di legittimità costituzionale.

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la domanda dovrebbe essere respinta, poiché difetta il requisito della pregressa convivenza e la disposizione censurata non si presta a una diversa interpretazione, che superi il dato testuale e consenta di identificare convivenza e residenza anagrafica, in linea con il punto di vista del ricorrente.

1.3.– Ad avviso del rimettente, l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo ivi previsto, la preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere, e non consente invece che la convivenza costituisca una condizione richiesta durante la fruizione del congedo», contrasterebbe con molteplici parametri della Carta fondamentale.

Il rimettente, dopo avere passato in rassegna la giurisprudenza costituzionale, che ha individuato la ratio del congedo straordinario nell’esigenza di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza al disabile nell’àmbito familiare (si menzionano le sentenze n. 233 del 2005, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009 e n. 203 del 2013), osserva che la scelta di concedere il congedo straordinario al figlio, solo quando sia già convivente con il genitore da assistere, si pone in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Cost.

In particolare, tale limitazione sarebbe lesiva del «combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che presuppone «una legittimazione della famiglia nel suo insieme – come insieme di rapporti affettivi – a divenire strumento di assistenza del disabile», in virtù del dovere di solidarietà che grava su ogni componente della comunità familiare e del «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».

L’attribuzione del congedo straordinario ai soli familiari già conviventi rispecchierebbe «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile, nonché non coerente con il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana». Le necessità che conducono i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine non possono «costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», giacché è proprio l’assenza di convivenza a imporre al figlio «di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».

Il rimettente soggiunge che il principio di solidarietà ben potrebbe essere attuato imponendo l’obbligo di convivenza durante la fruizione del congedo.

L’assetto restrittivo delineato dal legislatore si porrebbe in conflitto anche con l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe «un’evidente disparità di trattamento […] tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta, come avviene nel caso di specie».

Il rimettente, a tale riguardo, denuncia anche la violazione degli artt. 4 e 35 Cost. L’individuazione dei beneficiari in base al requisito della convivenza sarebbe all’origine di una discriminazione arbitraria, legata alla tipologia del lavoro svolto.

La disposizione censurata, inoltre, nel subordinare la concessione del congedo straordinario al requisito della convivenza, si porrebbe «in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». La normativa in esame richiederebbe «un requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale», come i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prescindono dal presupposto della convivenza.

Sarebbe irragionevole una disciplina difforme «di istituti preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia» e tale irragionevolezza sarebbe palese nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur beneficiario dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, escluso dal congedo straordinario in ragione della mancanza di una convivenza preesistente.

2.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 10 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia.

La difesa dell’interveniente, in linea preliminare, lamenta che il giudice a quo non abbia descritto la patologia del genitore del ricorrente e non abbia chiarito se l’infermità rientri tra quelle gravi, le sole che danno titolo al beneficio, in base all’art. 4, commi 2 e 4, della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Tale lacuna nella descrizione della fattispecie concreta si tradurrebbe nella manifesta inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza.

Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata.

La giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente avrebbe progressivamente esteso i beneficiari del congedo straordinario, sempre sul presupposto di una preesistente convivenza con il disabile, funzionale ad assicurare un’assistenza continuativa al congiunto disabile e a «verificare nella sua effettività la funzione di supplenza affidata alla famiglia».

La scelta di subordinare a tale requisito il godimento di un beneficio, che implica pur sempre «una deroga alla disciplina generale del rapporto di lavoro», varrebbe a contemperare le esigenze della tutela del disabile all’interno della famiglia con la necessità di salvaguardare la regolarità del rapporto di lavoro e di servizio.

Quanto ai permessi retribuiti, che raggiungono l’ammontare massimo di tre giorni mensili, non sarebbero comparabili con il congedo straordinario retribuito fino a due anni, che non mira a garantire «forme di assistenza temporanee», ma «un’assistenza stabile da parte dei componenti del nucleo familiare».

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), con specifico riguardo alla disciplina del congedo straordinario retribuito concesso al figlio per l’assistenza al padre gravemente disabile.

1.1.– Il rimettente assume che la disposizione censurata attribuisca al figlio tale congedo, a condizione che già conviva con il padre al momento della presentazione della domanda.

A favore dell’interpretazione prescelta dal rimettente e accreditata dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione seconda, parere n. 2584, reso il 1° agosto 2014, in relazione a un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un agente di polizia penitenziaria), militano il dettato letterale e l’argomento teleologico.

Quanto alla lettera della legge, il riferimento al «figli[o] convivent[e]» evoca una convivenza già instaurata al momento della formulazione della richiesta. Il dato testuale è poi corroborato dalla finalità dell’istituto del congedo straordinario, che si prefigge di tutelare la continuità dell’assistenza e in quest’ottica presuppone la prossimità del beneficiario al familiare disabile.

Il rimettente censura, in riferimento a molteplici parametri costituzionali, la scelta di subordinare la concessione del congedo straordinario al presupposto della «preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere».

Sarebbe violato, anzitutto, «il combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che affida a ogni componente della famiglia il compito di assistere il disabile. Al «dovere di solidarietà, che vincola comunitariamente ogni congiunto» fa riscontro il «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».

La scelta di porre la preesistente convivenza come «prerequisito» indispensabile per il godimento del beneficio rispecchierebbe, per un verso, una concezione restrittiva dell’assistenza familiare, limitata al solo nucleo convivente, e, per altro verso, «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile».

Il figlio che non convive con il genitore non avrebbe altra scelta che richiedere un congedo straordinario, «non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».

Le necessità che, secondo «il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana», conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d’origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la «concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l’imposizione di un obbligo di convivenza «durante la fruizione del congedo».

La scelta legislativa di subordinare il beneficio del congedo straordinario a una convivenza «che deve sussistere al momento della presentazione della domanda» è censurata anche per il contrasto con l’art. 3 Cost. Il rimettente ravvisa un’ingiustificata disparità di trattamento «tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta».

Una disciplina così congegnata sarebbe lesiva, in pari tempo, degli artt. 4 e 35 Cost., poiché discriminerebbe «i soggetti legittimati ad ottenere il beneficio in questione in ragione del tipo di lavoro svolto».

Il principio di eguaglianza sarebbe leso anche sotto un distinto profilo, che riguarda l’ingiustificata disparità di trattamento tra il congedo straordinario e i permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

Pur trattandosi di istituti «preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia», il legislatore, senza una ragionevole giustificazione, differenzierebbe i requisiti per godere dei rispettivi benefici, in violazione del «combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». Per accedere ai permessi non sarebbe più necessaria la convivenza, per contro richiesta con riguardo al congedo straordinario retribuito. L’irragionevolezza emergerebbe in maniera nitida nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur ammesso a fruire dei permessi, escluso dalla possibilità di beneficiare del congedo straordinario.

1.2.– La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio instaurato da un agente penitenziario, che ha rivendicato il diritto a un periodo di congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre in condizioni di disabilità grave e ha dedotto l’illegittimità del provvedimento dell’amministrazione, che ha rigettato l’istanza per la mancanza di una preesistente convivenza.

2.– L’Avvocatura generale dello Stato, per l’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione in ragione dell’omessa motivazione sulla rilevanza. Il rimettente non avrebbe offerto alcun ragguaglio sulle patologie del padre del ricorrente nel giudizio principale e tale profilo sarebbe determinante ai fini dell’accoglimento della domanda, poiché soltanto una disabilità grave potrebbe giustificare la concessione del congedo straordinario. La lacuna segnalata dall’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, non potrebbe che riverberarsi sulla stessa adeguatezza della motivazione in ordine al profilo preliminare della rilevanza.

L’eccezione non è fondata.

Il giudice a quo argomenta che il ricorrente già gode dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che presuppongono pur sempre, al pari del congedo straordinario, l’assistenza a una persona «con handicap in situazione di gravità».

Alla luce di tale dato di fatto, ovvero della fruizione dei permessi, che il rimettente ha posto in risalto e che l’amministrazione non ha contestato in alcun modo, non si può ritenere lacunosa la motivazione sul presupposto della disabilità grave del genitore bisognoso di assistenza.

Come si evince dalla puntuale ricostruzione degli antecedenti della controversia, le contestazioni vertono sul solo requisito della pregressa convivenza e non investono gli altri presupposti per la concessione del beneficio, peraltro vagliati nella fase cautelare di primo grado con esito favorevole al ricorrente.

Alla stregua delle allegazioni acquisite nel giudizio principale, richiamate dal rimettente, la motivazione sulla rilevanza è sufficiente e supera lo scrutinio di ammissibilità demandato a questa Corte.

3.– La questione è fondata, nei termini e per i motivi di séguito esposti.

4.– Per l’assistenza a persona disabile il legislatore prevede, oltre alle provvidenze dei permessi e del trasferimento, disciplinate dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992, l’istituto del congedo straordinario, circoscritto a ipotesi tassative e contraddistinto da presupposti rigorosi.

Il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa solo in presenza di una minorazione, «singola o plurima», che «abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» (art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992).

Il legislatore predetermina i limiti temporali del congedo, che «non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa» (art. 42, comma 5-bis, del d.lgs. n. 151 del 2001), e definisce la misura del trattamento economico spettante al lavoratore.

Il congedo straordinario è retribuito con «un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento» e si configura come un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, coperto da contribuzione figurativa. L’indennità e la contribuzione non possono superare «un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale», importo che è «rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2011, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati» (art. 42, comma 5-ter, primo e secondo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).

La concessione di tale beneficio si accompagna a ulteriori limitazioni, che sanciscono l’irrilevanza del relativo periodo «ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto» (art. 42, comma 5-quinquies, primo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).

Sul versante soggettivo, il legislatore stabilisce che il congedo straordinario, al pari dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, non possa essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona (art. 42, comma 5-bis, terzo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001) e delinea una precisa gerarchia dei beneficiari (art. 42, comma 5).

Il congedo spetta, in primo luogo, al coniuge convivente, che è legittimato a goderne «entro sessanta giorni della richiesta». In caso di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano «il padre o la madre anche adottivi». La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.

Con la sentenza n. 203 del 2013, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annoverava tra i beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione censurata.

5.– Dapprima riconosciuto ai soli genitori e, in caso di loro scomparsa, ai fratelli o alle sorelle conviventi con la persona in condizioni di disabilità grave in atto da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei permessi retribuiti di cui all’art. 33 della legge n. 104 del 1992 (art. 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001»), il congedo straordinario ha visto progressivamente estendersi l’àmbito di applicazione, per impulso del legislatore e della giurisprudenza di questa Corte.

Con l’introduzione dell’art. 3, comma 106, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)», il legislatore ha svincolato il beneficio dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave.

Questa Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, ha gradualmente ampliato la platea dei beneficiari e vi ha incluso dapprima i fratelli o le sorelle conviventi con il disabile, anche nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio perché a loro volta inabili (sentenza n. 233 del 2005), e successivamente, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, nell’ipotesi di assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura del disabile, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009).

Con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi), il legislatore ha recepito le indicazioni offerte dalle pronunce citate e ha innovato i tratti distintivi dell’istituto, originariamente «concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto). Anche in conseguenza dell’estensione del novero dei beneficiari, il congedo straordinario ha finito così con l’assumere una portata via via più ampia, in armonia con l’esigenza di salvaguardare «la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene» e così di «tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione» (sentenza n. 158 del 2018, punto 7.2. del Considerato in diritto).

Il congedo straordinario, riconducibile agli «interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie» (sentenze n. 158 del 2007, punto 2.3. del Considerato in diritto, e n. 233 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto), ne avvalora e ne incentiva il ruolo primario nell’assistenza al disabile e valorizza quelle «espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost.» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).

Il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’àmbito della sua comunità di vita» (sentenza n. 213 del 2016, punto 3.4. del Considerato in diritto), inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana.

Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche «un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l’interrelazione e l’integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (sentenza n. 215 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto).

Sono coerenti con il descritto disegno costituzionale anche la Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, che garantisce al disabile «l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità» (art. 15), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che tutela «il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che, nel preambolo (punto x), prescrive di assicurare alle famiglie, «nucleo naturale e fondamentale della società», la protezione e l’assistenza indispensabili per «contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».

Nell’apprestare le misure necessarie a rendere effettivo il godimento di tali diritti e a contemperare tutti gli interessi costituzionali rilevanti, la discrezionalità del legislatore incontra dunque un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 251 del 2008, punto 16. del Considerato in diritto).

6.– È alla luce di questi principi, enunciati dalla giurisprudenza costante di questa Corte, che occorre scrutinare la legittimità costituzionale della disposizione censurata.

6.1.– Nell’estendere il congedo straordinario oltre l’originaria cerchia dei genitori, il legislatore ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, al fine di salvaguardare quella continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto. La convivenza non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura.

Tale presupposto, ispirato a una finalità di preminente tutela del disabile, rischia nondimeno, per una sorta di eterogenesi dei fini, di pregiudicarlo, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.

In questa specifica circostanza, l’ancoraggio esclusivo al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità del congedo straordinario. Quest’ultimo mira a colmare le lacune di tutela e a far fronte «alle emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto», in particolare, a «quelle situazioni di disabilità che si possono verificare in dipendenza di eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).

Un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare – come extrema ratio – soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo.

Tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico. Può dunque accadere che la convivenza si ristabilisca in occasione di eventi che richiedono la vicinanza – in questo caso fra padre e figlio – quale presupposto per elargire la cura al disabile. Il ricomporsi del nucleo familiare si caratterizza in questi casi per un ancor più accentuato vincolo affettivo.

Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile. Tale presupposto, tuttavia, non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.

Tale preclusione, in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’àmbito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti.

6.2.– Il figlio che abbia conseguito il congedo straordinario ha difatti l’obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.

7.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’arbitraria discriminazione dei lavoratori, censurata anche per violazione degli artt. 4 e 35 Cost., e dell’ingiustificata disparità di trattamento tra chi reclami il beneficio dei permessi riconosciuti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e chi richieda il congedo straordinario.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

Sentenza 158 del 23 maggio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Maternita' e  infanzia  -  Indennita'  giornaliera  di  maternita'  -
  Condizioni - Intervallo di sessanta giorni tra la  sospensione  del
  rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di  maternita'
  - Deroghe - Assenza per congedo straordinario di cui la lavoratrice
  gestante abbia fruito per l'assistenza al coniuge convivente o a un
  figlio, portatori di handicap in situazione di gravita' accertata.
- Decreto legislativo 26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
  disposizioni legislative in materia  di  tutela  e  sostegno  della
  maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge
  8 marzo 2000, n. 53), art. 24, comma 3.
-   

(GU n.29 del 18-7-2018 )

 
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
 
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

      
    ha pronunciato la seguente
 
                              SENTENZA
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  24  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e  dal
Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione  di  giudice  del
lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre  2017,  iscritte
rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47  del
registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2017 e n. 11, prima
serie speciale, dell'anno 2018.
    Visto l'atto di costituzione di E.T.R. F.;
    udito nella udienza pubblica del 22  maggio  e  nella  camera  di
consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
    udito l'avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.
 
                          Ritenuto in fatto
 
    1.- Con ordinanza del 12 aprile 2017,  iscritta  al  n.  130  del
registro  ordinanze  2017,  il  Tribunale  ordinario  di  Torino,  in
funzione di giudice del lavoro, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo  comma,  e  117,  primo  comma,
della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24,
commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26  marzo  2001,  n.  151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia  di  tutela  e
sostegno della maternita' e della paternita', a  norma  dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non  prevede
che il trattamento di maternita' sia erogato anche  alla  lavoratrice
che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5,  d.lgs.  151/2001  e
che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare  da  piu'
di 60 giorni».
    1.1.- Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso  di  una
lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della  necessita'
di  assistere   un   coniuge   gravemente   disabile,   del   congedo
straordinario retribuito previsto dall'art. 42, comma  5,  d.lgs.  n.
151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1°
luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».
    La ricorrente nel giudizio principale ha  chiesto  di  condannare
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a  corrispondere
«il trattamento economico  di  maternita'  per  l'intera  durata  del
congedo  di  maternita',  compreso   il   periodo   di   interdizione
anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le
sarebbe   stato   originariamente   negato   sul   presupposto    che
l'interdizione anticipata del lavoro per  gravidanza  a  rischio  era
«avvenuta senza effettiva ripresa dell'attivita' lavorativa da  parte
della ricorrente».
    1.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo  argomenta  che  la
disposizione  censurata  impedisce  di  riconoscere  l'indennita'  di
maternita' alla parte ricorrente, «in  ragione  della  sua  pregressa
assenza dal lavoro per piu' di 60 giorni».
    All'inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da piu'  di
sessanta giorni del congedo straordinario di cui all'art.  42,  comma
5,  d.lgs.  n.  151  del  2001.  Per  questa  specifica  ipotesi   di
sospensione del rapporto di lavoro  la  legge  non  prevede  che  sia
comunque corrisposto il trattamento di maternita', come  nelle  altre
fattispecie tassativamente previste dall'art. 24 d.lgs.  n.  151  del
2001.
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  il
giudice a quo muove dalla premessa  che  l'indennita'  di  maternita'
miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che
la lavoratrice  possa  essere  pregiudicata  a  causa  degli  impegni
connessi alla cura del bambino.
    Per effetto  della  disposizione  censurata,  la  lavoratrice  in
gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l'assistenza  del  coniuge
disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima  dell'inizio  del
periodo di astensione  obbligatoria  e  rischierebbe  di  perdere  il
diritto all'indennita' di maternita'  quando  le  «complicanze  della
gestazione non consentano la ripresa del servizio al  termine  di  un
congedo straordinario».
    Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso,  del  «diritto  del
disabile  di  ricevere  assistenza  all'interno  del  proprio  nucleo
familiare» e, per altro verso,  del  «diritto  della  lavoratrice  di
prestare  assistenza  al  proprio   coniuge   disabile»,   scegliendo
liberamente il momento in cui diventare madre.
    In particolare, nel negare l'indennita' di maternita'  quando  il
rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessita' di  assistere
il coniuge disabile,  la  disciplina  censurata  pregiudicherebbe  la
speciale protezione della maternita', sancita dagli  artt.  31  e  37
Cost.
    Il rimettente assume,  inoltre,  che  la  disposizione  in  esame
contrasti con «il principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3
Cost.», in quanto nega l'indennita' di  maternita'  alla  lavoratrice
che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessita' di
assistere  il  coniuge  disabile  e  determina  una   disparita'   di
trattamento  priva  di  «ogni  giustificazione  razionale»  tra  tale
fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela»,  e  le
ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo
parentale o congedo  per  la  malattia  del  figlio  fruito  per  una
precedente maternita' o per accudire  minori  in  affidamento,  della
mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo
parziale   di   tipo   verticale,   della   collocazione   in   cassa
integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede
che l'indennita' di maternita' sia corrisposta anche alla lavoratrice
assente dal servizio da piu' di sessanta giorni.
    Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE,  che
enunciano  «il  principio   di   uguaglianza   ed   il   divieto   di
discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di  maternita'
retribuito ed il diritto di accesso  alle  prestazioni  di  sicurezza
sociale  in  caso  di  maternita'».  Il  diniego  dell'indennita'  di
maternita',  «dovuto  alla  duplice  condizione   della   ricorrente,
gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile  bisognoso
di cure», integrerebbe, difatti,  una  discriminazione  a  causa  del
sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternita' come
espressamente enunciato dall'art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva
2006/54 e trasposto nell'ordinamento all'art. 2  bis  del  d.lgs.  n.
198/06», e a causa della disabilita', in contrasto con le  previsioni
«della direttiva  2000/78,  attuata  col  d.lgs.  n.  216/03»,  e  in
particolare   con   «il   divieto    di    discriminazione    fondato
sull'handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche  a  chi
gli presta assistenza.
    Il rimettente, in ragione della tassativita' delle ipotesi in cui
il trattamento di maternita' e' corrisposto anche  a  prescindere  da
una sospensione del rapporto di lavoro per  un  periodo  superiore  a
sessanta giorni, reputa impraticabile l'interpretazione adeguatrice e
ravvisa la necessita' di investire la  Corte  costituzionale  per  la
soluzione del dubbio di costituzionalita'.
    Questa necessita' non potrebbe dirsi superata dal  fatto  che  il
conflitto tra norme interne e norme dell'Unione  europea  di  diretta
applicazione possa essere  risolto  disapplicando  la  norma  interna
incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il  conflitto  della  norma
interna con i principi  della  Costituzione  riconosciuti  anche  dal
diritto euro unitario puo' essere risolto solo attraverso un espresso
sindacato di legittimita' sull'atto legislativo  ordinario  da  parte
dell'Organo competente», e non  gia'  attraverso  la  disapplicazione
delle norme di  rango  legislativo  in  ipotesi  contrastanti  con  i
precetti costituzionali.
    2.- Con atto depositato il 24  ottobre  2017,  si  e'  costituita
E.T.R. F., chiedendo  di  accogliere  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.
    Il trattamento economico di maternita', al pari  del  congedo  di
maternita' e del divieto di  licenziamento,  attuerebbe  la  speciale
protezione che l'art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice  e  al
bambino,  e  il  principio  di  eguaglianza  sostanziale   presidiato
dall'art. 3, secondo comma, Cost.
    Il  sostegno  economico  alla  lavoratrice  madre   perseguirebbe
l'obiettivo di tutelare la salute della donna e del  nascituro  e  di
salvaguardare la liberta' della lavoratrice di  essere  madre,  senza
limitazioni  o  condizionamenti  derivanti  dalla  prospettiva  della
perdita del reddito lavorativo.
    Il congedo straordinario regolato dall'art. 42 d.lgs. n. 151  del
2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del
disabile e di promuoverne l'integrazione all'interno della  famiglia,
che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale  fattispecie  di
congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento  economico
di maternita', la medesima tutela riconosciuta nelle  altre  ipotesi,
in  cui  la  legge  concede  l'indennita'  di  maternita'   anche   a
lavoratrici che non siano in servizio da piu' di sessanta giorni.
    La disposizione censurata, nel negare l'indennita' di  maternita'
alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro  per
assistere  il  coniuge  disabile  e  poi  sia  stata   collocata   in
interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella
gestazione, vanificherebbe la  speciale  protezione  accordata  dagli
artt. 31 e 37 Cost.
    Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del  principio  di
non  discriminazione  in  ragione  del  sesso  e  della  disabilita',
enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.
    3.- Con ordinanza del 16 ottobre 2017,  iscritta  al  n.  47  del
registro  ordinanze  2018,  il  Tribunale  ordinario  di  Trento,  in
funzione di giudice del lavoro, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, primo comma, 31 e  37,  primo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151  del
2001, «nella parte  in  cui  [...]  non  annovera  anche  il  congedo
straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001  (spettante
al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravita'
accertata ai sensi dell'art. 4 co. 1 L.  5.2.1992,  n.  104)  tra  le
fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di
cui non si tiene conto  ai  fini  del  computo  dell'intervallo,  tra
l'inizio dell'assenza o della sospensione o  della  disoccupazione  e
l'inizio del periodo di congedo di maternita', di sessanta giorni, il
cui  superamento  preclude,  ai  sensi  dell'art.  24  co.  2  d.lgs.
151/2001, l'attribuzione dell'indennita' giornaliera di maternita' ex
art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».
    3.1.- Il rimettente riferisce di dover decidere  sul  ricorso  di
una lavoratrice che,  dal  4  aprile  2016,  fruisce  di  un  congedo
straordinario  per  l'assistenza  di  un  figlio  in  condizione   di
disabilita' grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.
    La domanda di  indennita'  giornaliera  di  maternita'  e'  stata
respinta dall'INPS, in quanto erano trascorsi piu' di sessanta giorni
dall'inizio del congedo straordinario.
    3.2.- In punto di rilevanza, il giudice a  quo  osserva  che,  in
virtu' della  disposizione  censurata,  il  ricorso  dovrebbe  essere
rigettato, in quanto, all'inizio del periodo di congedo di maternita'
(23 agosto 2016), il rapporto  di  lavoro  era  sospeso  da  piu'  di
sessanta giorni. Gia' dal 4 aprile 2016 la  parte  ricorrente  godeva
del congedo straordinario per assistere il figlio  minore  gravemente
disabile  e,  dal  23  agosto  2016,  in   forza   di   provvedimento
dell'azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.
    Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni  della
sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di  cassazione,  sezione
lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro  a  titolo  di
aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non  sono  esclusi
dal computo dei sessanta giorni che precedono l'inizio del congedo di
maternita'.
    3.3.- In merito alla non manifesta infondatezza  della  questione
di  legittimita'  costituzionale,  il  giudice  a   quo   muove   dal
presupposto  che,  secondo  la  giurisprudenza   costituzionale,   il
fondamento della protezione sia ricondotto alla maternita' in  quanto
tale  e  non  piu'  allo  svolgimento  di   un'attivita'   lavorativa
subordinata.
    L'art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si  debba  tener
conto, ai fini del computo dei sessanta  giorni  di  sospensione  del
rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul
lavoro, del periodo di congedo parentale fruito  per  una  precedente
maternita', del congedo per la malattia del figlio,  del  periodo  di
assenza per accudire minori in affidamento, del  periodo  di  mancata
prestazione lavorativa prevista  dal  contratto  di  lavoro  a  tempo
parziale di tipo verticale.
    Il legislatore ha dunque  recepito  le  indicazioni  della  Corte
costituzionale, che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre  1971,  n.  1204
(Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in  cui  non  escludeva
dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio
del  periodo  di  astensione  obbligatoria   dal   lavoro   l'assenza
facoltativa non retribuita per una precedente maternita' (si menziona
la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo  di  assenza  per  accudire
minori affidati in preadozione (il richiamo e' alla sentenza  n.  332
del 1988).
    Per altro verso,  il  legislatore  ha  scelto  di  escludere  dal
computo dei sessanta giorni anche il  congedo  per  la  malattia  del
figlio e l'assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo  parziale
di tipo verticale.
    Ad avviso del rimettente, l'assetto delineato dal legislatore  si
pone in contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  in  quanto,  senza  alcuna
giustificazione   ragionevole,   pur   trattandosi   di    situazioni
«espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il  congedo
per la malattia del figlio ex art. 47  d.lgs.  n.  151  del  2001  ed
esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al  genitore
di un figlio con handicap in situazione di gravita' accertata «tra le
fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di
cui non si tiene conto  ai  fini  del  computo  dell'intervallo,  tra
l'inizio della assenza o della sospensione o della  disoccupazione  e
l'inizio del periodo del congedo di maternita', di  sessanta  giorni,
il cui superamento preclude, ai  sensi  dell'art.  24  co.  2  d.lgs.
151/2001, l'attribuzione dell'indennita' giornaliera di maternita' ex
art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».
    Sarebbero violati anche l'art.  31  e  l'art.  37,  primo  comma,
Cost.,  in  quanto  la  disposizione  censurata,  nell'escludere  dal
godimento dell'indennita' di maternita'  la  donna  che  da  piu'  di
sessanta giorni benefici del congedo straordinario per  assistere  un
figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i principi  di  tutela
della maternita' e  comprometterebbe  la  speciale  protezione  della
madre e del bambino, che  l'istituto  dell'indennita'  di  maternita'
concorre a garantire.
    4.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  non  ha  spiegato
intervento.
    5.- All'udienza del  22  maggio  2018,  E.T.R.  F.,  unica  parte
costituita,  ha  ribadito  le  conclusioni  rassegnate  nell'atto  di
costituzione.
 
                       Considerato in diritto
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario  di
Trento, entrambi in funzione di giudice del  lavoro,  dubitano  della
legittimita' costituzionale dell'art. 24 del decreto  legislativo  26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia di tutela e sostegno della maternita' e della  paternita',  a
norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella  parte
in cui non annovera il congedo previsto dall'art. 42, comma 5, d.lgs.
n.  151  del  2001  per  l'assistenza,  rispettivamente,  al  coniuge
convivente o a un figlio, portatori  di  handicap  in  situazione  di
gravita' accertata ai sensi dell'art.  4,  comma  1,  della  legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui
non si tiene conto ai fini del computo  di  quell'arco  temporale  di
sessanta giorni tra  l'inizio  della  sospensione  o  dell'assenza  e
l'inizio del periodo di congedo  di  maternita',  superato  il  quale
l'attribuzione dell'indennita' di maternita' risulta preclusa.
    Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in  risalto  la  specifica
funzione dell'indennita' di maternita', volta a  tutelare  la  salute
della donna e del nascituro e a  evitare  ogni  pregiudizio  connesso
alla libera scelta  della  maternita',  argomentano  che  il  diniego
dell'indennita'  di  maternita',  quando  siano  trascorsi  piu'   di
sessanta  giorni   tra   l'inizio   della   fruizione   del   congedo
straordinario per l'assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di
handicap in situazione di gravita' accertata, e l'inizio del  periodo
di congedo di  maternita',  vanifica  la  speciale  protezione  della
maternita' garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31  e  37  della
Costituzione).
    Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la  disciplina
censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere  assistenza
all'interno  del  proprio  nucleo  familiare  ed  il  diritto   della
lavoratrice  di  prestare  assistenza  al  proprio  coniuge  disabile
(laddove  impone  a  quest'ultima,  qualora  insorga  uno  stato   di
gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza  per  riprendere
il rapporto di lavoro prima dell'astensione obbligatoria)» e, in pari
tempo, sacrifica «la liberta' della lavoratrice di  scegliere  quando
diventare madre»,  esponendola  al  rischio  di  perdere  il  diritto
all'indennita' di maternita' quando le complicazioni della gestazione
impediscano  «la  ripresa  del  servizio  al  termine   del   congedo
straordinario».
    La disciplina censurata sarebbe  lesiva,  altresi',  dell'art.  3
Cost., in quanto, in difetto  di  ogni  ragionevole  giustificazione,
riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice  costretta  ad
assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.
    Il Tribunale di Torino, in particolare,  denuncia  la  violazione
del «principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  Cost.».  La
lavoratrice che si dedica  all'assistenza  al  coniuge  disabile  non
sarebbe «meritevole di una minor tutela»  rispetto  alla  lavoratrice
assente per «malattia, infortunio sul  lavoro,  congedo  parentale  o
congedo  per  la  malattia  del  figlio  fruito  per  una  precedente
maternita'  o  per  accudire  minori  in  affidamento»   o   rispetto
all'ipotesi  «della  mancata  prestazione  lavorativa  in   caso   di
contratto di  lavoro  a  tempo  parziale  di  tipo  verticale,  della
collocazione in cassa integrazione».
    Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio  di
eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e  indica  come  specifico
termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre  che  si
trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001  per  assistere  il
figlio ammalato» e percio' beneficia dell'esclusione di tale  congedo
dal computo dei sessanta  giorni  previsti  dall'art.  24,  comma  2,
d.lgs. n. 151 del 2001.
    Il Tribunale di Torino prospetta anche il  contrasto  con  l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e  34
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. Il diniego dell'indennita' di maternita', «dovuto alla
duplice  condizione  della  ricorrente,  gestante  con  gravidanza  a
rischio e parente di un disabile bisognoso di cure»,  contravverrebbe
al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica
declinazione  della  gravidanza/maternita'»,  e   alla   disabilita',
divieto che  tutela  anche  chi  presti  al  disabile  la  necessaria
assistenza.
    2.- Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni  in  larga
parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei  sessanta
giorni tra l'inizio del congedo straordinario e l'inizio del  periodo
di congedo di maternita'. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti
per essere definiti con un'unica decisione.
    3.- Le questioni sono fondate, nei termini  e  per  i  motivi  di
seguito esposti.
    4.- Il testo unico del 2001 appresta  una  disciplina  articolata
delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell'attivita'
lavorativa,  anteriori   all'inizio   del   periodo   di   astensione
obbligatoria, e delle fattispecie in cui l'indennita'  di  maternita'
e' concessa  anche  quando  sia  trascorso  un  periodo  superiore  a
sessanta  giorni  tra  l'assenza  e   la   sospensione   e   l'inizio
dell'astensione  obbligatoria.  Su  tale  disciplina,  che  e'  utile
ripercorrere nella sua evoluzione  diacronica,  si  e'  innestata  la
giurisprudenza di questa Corte, come si vedra' in seguito.
    La legge, in particolare,  accorda  l'indennita'  giornaliera  di
maternita'  anche  alle  «lavoratrici  gestanti   che   si   trovino,
all'inizio del periodo di congedo di maternita', sospese, assenti dal
lavoro  senza  retribuzione,  ovvero,  disoccupate»,   purche'   «tra
l'inizio della sospensione, dell'assenza  o  della  disoccupazione  e
quello di detto periodo non siano decorsi piu'  di  sessanta  giorni»
(art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).
    L'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001  esclude  dal  computo
dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul
lavoro, accertate e riconosciute dagli enti  gestori  delle  relative
assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo
per la malattia del figlio fruito per una precedente maternita'»,  il
«periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento»  e  il
«periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto  di
lavoro a tempo parziale di tipo verticale».
    Una disciplina peculiare e' dettata a  favore  della  lavoratrice
che,  all'inizio  del  periodo  di  congedo  di  maternita',  fruisca
dell'indennita' di disoccupazione (art. 24, commi 4 e  5,  d.lgs.  n.
151 del 2001), del trattamento di  integrazione  salariale  a  carico
della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6,  d.lgs.  n.  151
del 2001) o dell'indennita' di mobilita' (art. 24, comma 7, d.lgs. n.
151 del 2001).
    La normativa vigente ha riprodotto  le  previsioni  dell'art.  17
della legge 30 dicembre  1971,  n.  1204  (Tutela  delle  lavoratrici
madri), che gia' menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio
e  disciplinava  le  fattispecie  del  godimento  dell'indennita'  di
disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale  a  carico
della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi  di
questa Corte, che hanno  via  via  esteso  l'ambito  applicativo  del
beneficio dell'indennita' di maternita'.
    L'art. 17, secondo  comma,  legge  n.  1204  del  1971  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui
non escludeva  -  dal  computo  dei  sessanta  giorni  immediatamente
antecedenti all'inizio del periodo  di  astensione  obbligatoria  dal
lavoro - l'assenza facoltativa non retribuita di cui  la  lavoratrice
gestante  avesse  goduto  in  seguito  a  una  precedente  maternita'
(sentenza n. 106 del 1980) e  il  periodo  di  assenza  per  accudire
minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).
    La declaratoria di illegittimita' costituzionale ha poi investito
lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l'indennita'
giornaliera di maternita' alle lavoratrici con contratto di lavoro  a
tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai
previsti successivi periodi  di  ripresa  dell'attivita'  lavorativa,
allorche' il periodo di astensione obbligatoria avesse  avuto  inizio
piu' di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente  fase  di
lavoro (sentenza n. 132 del 1991).
    5.- La disciplina censurata si  colloca,  come  gia'  anticipato,
nell'evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.
    I giudici a  quibus  muovono  dalla  premessa  che  l'elencazione
dell'art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa  essere
integrata attraverso un'interpretazione  adeguatrice.  La  legge,  in
particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario  che  l'art.
42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001  prevede  a  favore  del  coniuge
convivente e della madre per l'assistenza a «soggetto con handicap in
situazione di gravita' accertata ai sensi dell'articolo 4,  comma  1,
della legge 5 febbraio 1992, n. 104».
    I rimettenti, chiamati a decidere  le  controversie  promosse  da
lavoratrici gestanti che prestavano assistenza  l'una  al  coniuge  e
l'altra al figlio disabile, chiedono di ampliare  il  catalogo  delle
deroghe previste dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali
specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il  tema  del
decidere devoluto all'esame di questa Corte.
    Il dubbio di costituzionalita' e'  originato  da  una  plausibile
premessa ermeneutica.
    La giurisprudenza di legittimita' e' consolidata  nell'attribuire
carattere tassativo alle deroghe delineate  dall'art.  24,  comma  3,
d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze
14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in  coerenza  con
l'orientamento  di  questa  Corte,  che  riconduce  alla  valutazione
discrezionale  del  legislatore  l'individuazione  delle  particolari
fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta  giorni
tra l'assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto  di
lavoro, da un lato, e l'inizio del periodo di congedo di  maternita',
dall'altro (sentenza n. 106 del 1980, punto  5.  del  Considerato  in
diritto).
    6.- Il legislatore, pur nell'ambito di tali scelte discrezionali,
si propone di apprestare una  tutela  effettiva  e  coerente  con  il
dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito  di
proteggere  la  maternita'  e  l'infanzia,  «favorendo  gli  istituti
necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e  prescrive
«una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.)  per
la madre e il  bambino,  accomunati  in  una  prospettiva  di  tutela
unitaria, in armonia con l'unicita' della relazione esistenziale  che
li lega (sentenza n. 205  del  2015,  punto  4.  del  Considerato  in
diritto).
    La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della
donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra
madre  e  figlio,  con  le  «esigenze  di  carattere  relazionale  ed
affettivo che sono collegate allo  sviluppo  della  personalita'  del
bambino» (sentenze n. 61  del  1991,  punto  4.  del  Considerato  in
diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e  di
«impedire che possano, dalla maternita' e dagli impegni connessi alla
cura del bambino, derivare conseguenze  negative  e  discriminatorie»
(sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).
    Nel  definire  i  presupposti  dell'indennita'   di   maternita',
«crocevia  di   molteplici   valori   costituzionalmente   rilevanti»
(sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in  diritto),  le
scelte legislative, pur diversamente modulate  con  riferimento  alle
peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il  fondamento
della tutela  costituzionale  della  maternita',  che  risiede  nella
maternita' in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto  4.1.  del
Considerato in diritto) e vieta  «una  ingiustificata  esclusione  di
ogni forma di tutela» (sentenza n.  405  del  2001,  punto  2.1.  del
Considerato in diritto)
    7.- La legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3,  d.lgs.
n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei  principi
richiamati.
    7.1.- La legge riconosce il diritto a percepire  l'indennita'  di
maternita' se si puo' ritenere, in ragione della brevita'  del  tempo
trascorso «tra la cessazione del lavoro e  l'inizio  del  periodo  di
astensione obbligatoria» o in ragione di  altri  specifici  elementi,
che la lavoratrice sia  «ancora  inserita  nel  circuito  del  lavoro
allorquando il periodo di astensione obbligatoria  ha  avuto  inizio»
(sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se
ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse  a  una  precedente
maternita' (sentenza n. 106 del  1980)  o  alla  cura  di  un  minore
affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).
    La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti
di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili,
in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell'art.  42,
comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.
    7.2.- Questa omissione e' posta al centro delle censure mosse dai
rimettenti.
    Nel negare l'indennita' di maternita' alla madre che,  all'inizio
del periodo di astensione obbligatoria, benefici da piu' di  sessanta
giorni di un congedo straordinario per l'assistenza al coniuge  o  al
figlio in condizioni di grave disabilita', la disposizione  censurata
sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata  protezione  che
l'art. 37, primo comma, Cost. accorda alla  madre  lavoratrice  e  al
bambino. Quest'ultima previsione specifica e rafforza la tutela della
maternita' e dell'infanzia gia' sancita in termini generali dall'art.
31, secondo comma, Cost.
    L'esclusione del congedo straordinario  si  rivela  irragionevole
anche alla luce delle speciali  previsioni  dell'art.  24,  comma  3,
d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei  sessanta
giorni  tra  l'inizio   dell'assenza   e   l'inizio   dell'astensione
obbligatoria il «periodo di congedo parentale o  di  congedo  per  la
malattia del figlio fruito per una precedente maternita'». La  deroga
prevista per tali congedi  si  ispira  a  un'esigenza  preminente  di
tutela, cosicche' l'indennita' di maternita' e' dovuta  anche  quando
la discontinuita' del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.
    Nelle due ipotesi  di  congedo  straordinario  per  assistere  il
coniuge o un figlio  in  condizioni  di  grave  disabilita'  emergono
esigenze di tutela egualmente rilevanti.
    Si  tratta,  infatti,  di  congedo  straordinario  subordinato  a
presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre
assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono
sul computo dei sessanta  giorni  previsti  dall'art.  24,  comma  2,
d.lgs. n. 151 del 2001.
    La giurisprudenza di  questa  Corte  ha  contribuito  a  scandire
l'evoluzione  del  beneficio  in  esame  e  ad   ampliarne   l'ambito
applicativo. Dapprima esteso ad uno  dei  fratelli  o  delle  sorelle
conviventi con  soggetto  con  handicap  in  situazione  di  gravita'
accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza  n.  233
del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in
via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007)  e,
in difetto di altri soggetti idonei, il figlio  convivente  (sentenza
n. 19 del 2009)  e  il  parente  o  l'affine  entro  il  terzo  grado
convivente (sentenza n. 203 del 2013).
    L'estensione dei beneficiari del congedo  straordinario  risponde
all'esigenza di garantire la  cura  del  disabile  nell'ambito  della
famiglia e della comunita' di vita  cui  appartiene,  allo  scopo  di
tutelarne nel  modo  piu'  efficace  la  salute,  di  preservarne  la
continuita' delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.
    L'assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che  si
faccia carico anche dell'assistenza al coniuge o al figlio  disabili,
e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due  principi
di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternita'  e  la
tutela del disabile. Con l'imporre una  scelta  tra  l'assistenza  al
disabile e la ripresa  dell'attivita'  lavorativa  per  godere  delle
provvidenze legate alla maternita', la disciplina censurata determina
l'indebito sacrificio dell'una o dell'altra tutela. In tal modo  essa
entra  in  contrasto  con  il  disegno  costituzionale  che  tende  a
ravvicinare le due sfere di tutela e a farle  convergere,  nell'alveo
della  solidarieta'  familiare,  oltre  che  nelle  altre  formazioni
sociali.
    La tutela della maternita' e la tutela del disabile, difatti, pur
con le peculiarita' che le contraddistinguono, non sono  antitetiche,
proprio  perche'  perseguono  l'obiettivo  comune  di  rimuovere  gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana  (art.
3,  secondo  comma,  Cost.).  Per  questi  particolari   vincoli   di
solidarieta', connessi alla cura del coniuge o  del  figlio  disabili
con  handicap  in  condizione  di  gravita'  accertata,   si   impone
l'estensione della deroga sancita dall'art. 24, comma  3,  d.lgs.  n.
151 del 2001.
    8.- Dalle considerazioni svolte,  discende  la  fondatezza  delle
proposte questioni di  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 3, 31 e 37 Cost.
    Si deve,  pertanto,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non
prevede che,  ai  fini  del  computo  dei  sessanta  giorni  previsti
dall'art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del
periodo di congedo straordinario  previsto  dall'art.  42,  comma  5,
d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante  abbia  fruito
per l'assistenza al coniuge convivente o a un  figlio,  portatori  di
handicap in situazione di gravita' accertata ai  sensi  dell'art.  4,
comma 1, legge n. 104 del 1992.
    Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale  di  Torino,
incentrate sulla violazione dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.

      
 
                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
 
    riuniti i giudizi,
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24,  comma  3,
del decreto legislativo 26 marzo 2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non  esclude  dal  computo  di
sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo  di
astensione  obbligatoria   dal   lavoro   il   periodo   di   congedo
straordinario previsto dall'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001,
di cui la lavoratrice  gestante  abbia  fruito  per  l'assistenza  al
coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione
di gravita' accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1,  della  legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate).
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.
 
                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                     Silvana SCIARRA, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere
 
    Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.
 
                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA

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