Eureka Previdenza

Messaggio 3239 del 4 agosto 2017

Oggetto: Requisiti per il riconoscimento del diritto all’assegno sociale: cittadinanza, soggiorno decennale e residenza - chiarimenti normativi.
La complessità della materia, l’evoluzione giurisprudenziale e le richieste di chiarimenti da parte delle Sedi rendono necessarie le precisazioni in materia di requisiti per il riconoscimento del diritto all’assegno sociale di seguito riportate.
1. Cittadinanza italiana e situazioni equiparate
In aderenza al dettato costituzionale (art. 38), che prevede la tutela assistenziale nei confronti di "ogni cittadino", le disposizioni di legge ordinaria stabiliscono, quale requisito per la concessione dell'assegno, la cittadinanza italiana. Il requisito deve sussistere tanto al momento della domanda ai fini del riconoscimento, quanto successivamente per il mantenimento della prestazione. La perdita della cittadinanza per una delle ipotesi previste dalla legge comporta, pertanto, anche il venir meno
del diritto all’assegno.
Per effetto di disposizioni legislative e regolamentari sono equiparati ai cittadini italiani i seguenti soggetti:
a) Cittadini della Repubblica di San Marino
b) Cittadini comunitari
Prima dell’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 n. 40 (“Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), i cittadini della Unione Europea potevano accedere all’assegno sociale solo a condizione del possesso della qualifica di lavoratori.
Attualmente invece, come chiarito dalla circolare 82/2000, i cittadini della Comunità Europea residenti in Italia possono ottenere l’assegno sociale indipendentemente dal possesso della qualifica suddetta.
Infatti la legge succitata stabilisce, all'art. 1, comma 2, che le disposizioni in essa contenute si applicano anche ai cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea, quando si tratti di norme più favorevoli.
Poiché la medesima legge non prevede che per gli stranieri la qualifica di lavoratore costituisca un requisito per accedere alle prestazioni assistenziali, questo limite è venuto meno anche per i cittadini comunitari.
Ai sensi del decreto legislativo 6 febbraio 2007 n. 30, superati i tre mesi di permanenza sul territorio nazionale, i cittadini comunitari che desiderano esercitare il diritto di soggiorno possono chiedere l'iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza alle condizioni previste dagli artt. 7 e 9. Il certificato d'iscrizione anagrafica rappresenta il titolo di soggiorno che sostituisce, di fatto, la carta di soggiorno per cittadini UE prevista dal d.p.r. 18 gennaio 2002 n. 54.
Tra   i   diritti   che   competono   al   cittadino   comunitario   a   seguito   dell’iscrizione   anagrafica   è ricompreso, in presenza degli altri requisiti di legge, l'assegno sociale. Il beneficio si estende ai familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro della U.E. che soggiornino legalmente in Italia (articolo
19, commi 2 e 3, del decreto legislativo 30/2007).
c) Stranieri o apolidi titolari dello status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria e rispettivi coniugi ricongiunti
Ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251 , di attuazione della direttiva 2004/83/CE, il "rifugiato" è "il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno".
La “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.
Lo status di rifugiato o di persona ammessa alla protezione sussidiaria comporta l'acquisto degli stessi diritti e doveri del cittadino italiano. Di conseguenza, gli stranieri o apolidi, rifugiati politici o per i quali sia stato riconosciuto lo status di protezione sussidiaria e i rispettivi coniugi ricongiunti, anche se non in possesso di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, hanno diritto, tra l’altro, all’assistenza sociale alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani (per lo status di protezione sussidiaria, ciò è stato ribadito dal messaggio 4090/2008).
Costoro devono risultare, al momento della domanda, in possesso della documentazione relativa alla qualifica di rifugiato politico o ammesso allo status di protezione sussidiaria.
Il trattamento spetta anche ai familiari in quanto essi, ove non abbiano individualmente diritto allo status di protezione internazionale, hanno comunque i medesimi diritti riconosciuti al familiare titolare dello status (art. 22 del decreto legislativo n. 251/2007).
d) Extracomunitari titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo. Cittadini svizzeri e dello Spazio Economico Europeo.
1. Ai sensi dell’art. 80, comma 19, della L. 388/2000   “ (...) l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno” (ora “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”).
L’art. 9, comma 12, lettera c) del Dlgs 8 gennaio 2007 n. 3 ribadisce che il titolare del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo può: "(...) usufruire delle  prestazioni di assistenza sociale (...), salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale”.
Occorre tenere presente che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato a tempo indeterminato, per cui la prestazione concessa in favore di soggiornanti di lungo periodo deve ritenersi non soggetta a scadenza (art. 9, comma 1, decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286).
Come precisato dal messaggio 17032/2013, è invece preclusa la possibilità di accedere all’assegno sociale ai cittadini stranieri extracomunitari con permesso di soggiorno diverso da quello di lungo periodo.
A tale riguardo, la Corte di Cassazione, sez. lav., con sentenza 22261/2015, ha chiarito che “in tema di corresponsione dell’assegno sociale di cui all’art.3, comma 6, legge 335/95  non è irragionevole la previsione dell’art. 80, comma 19, L.388/2000, applicabile ratione temporis, che subordina detta corresponsione alla titolarità  della carta di soggiorno (ora  "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo"), indicativa del radicamento sul territorio, trattandosi di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e pertanto non investe la tutela delle condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza”.
Ne consegue che, ad esempio, il permesso di soggiorno per residenza “elettiva”, che è di durata annuale rinnovabile, non costituisce titolo per richiedere l’assegno sociale.
La circolare n. 39/2007 del Ministero del Interno, nel fornire indicazioni operative in merito all’attuazione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, ha precisato che i cittadini di Norvegia, Islanda e Liechtenstein - Stati appartenenti allo Spazio Economico Europeo - e i cittadini svizzeri sono equiparati ai cittadini dell’Unione europea agli effetti del decreto legislativo in esame.
Per tutti costoro, pertanto, in luogo del titolo consistente nel permesso di soggiorno UE di lungo periodo,   vige   quello   previsto   dalla   decreto   legislativo   6   febbraio   2007   n.   30,   consistente nell’iscrizione anagrafica dopo tre mesi di permanenza nel territorio nazionale alle condizioni previste dagli artt. 7 e 9.
2. Soggiorno per 10 anni nel territorio nazionale L’art. 20, comma 10, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 , convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 stabilisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano
soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale”.
A differenza della cittadinanza e della residenza, l’ulteriore requisito dei 10 anni continuativi di soggiorno decennale continuativo in Italia, una volta conseguito, è definitivo. Pertanto la sua sussistenza va rilevata solo in sede di domanda di riconoscimento dell’assegno, salvo che non subentrino informazioni che mettano in dubbio la fondatezza dell’accertamento.
Come chiarito nella circolare 105/2008, il possesso del requisito dei 10 anni continuativi di soggiorno in Italia va accertato indipendentemente dall’arco temporale in cui s’è verificato.
Pertanto, pur dovendo essere concentrato in un segmento temporale della vita del richiedente (di almeno 10 anni continuativi), il soggiorno può essere collocato anche in un periodo temporale distante dal momento di presentazione della domanda di prestazione assistenziale.
E’ stata sollevata da alcune Sedi la questione dell’applicabilità del suddetto requisito anche agli assegni sociali sostitutivi di cui all’art. 19, L. 30 marzo 1971 n. 118  e all’art. 10 L. 26 maggio 1970 n. 381.
Sul punto occorre fare riferimento a quanto espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n.10972/2001, laddove si evidenzia la diversità dei presupposti e requisiti stabiliti dal legislatore per la prestazione di invalidità civile da un lato e l’assegno sociale dall’altro. Si tratta infatti di benefici che attingono la loro causa erogatoria in situazioni tra loro non assimilabili. Ne consegue che la trasformazione del primo nel secondo in via automatica, in ragione soltanto del compimento della prevista età anagrafica, non ne trasforma la peculiare natura.
Non è quindi accettabile che un soggetto che abbia goduto della pensione di invalidità civile fino all’età della trasformazione in assegno sociale, perda la prestazione a seguito dell’applicazione dei più restrittivi criteri propri dell’assegno.
Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte, riferito ai requisiti reddituali, è estensibile a quelli anagrafici, poiché il titolare di una prestazione di invalidità civile potrebbe perdere il diritto alla continuità della prestazione al compimento dell’età prevista per la trasformazione in assegno sociale per l’insussistenza del requisito del soggiorno continuativo che, in precedenza, non aveva precluso l’accesso al beneficio assistenziale.
Nella sentenza si evidenzia, oltretutto, la necessità di evitare soluzione di continuità nell’erogazione dei trattamenti pensionistici quando ciò sia incoerente con l’ordinamento costituzionale (artt. 3 e 38 Cost.) come nel caso di specie, dato che il superamento dell’età “non costituisce superamento della invalidità, ma semmai un aggravio”.
Ne consegue che ai titolari di assegno sociale sostitutivo non deve ritenersi applicabile il requisito del soggiorno legale continuativo per 10 anni nel territorio nazionale.
3. Residenza
Gli assegni sociali appartengono al novero delle prestazioni “erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono e ai sensi della sua legislazione. Tali prestazioni sono erogate dall'Istituzione del luogo di residenza e sono a suo carico” (art. 70, comma 4, Reg. CE n. 883/2004).
Nel messaggio 12886/2008 è stato chiarito che il requisito della residenza “si perfeziona con la dimora effettiva, stabile ed abituale in Italia, assumendo rilevanza essenziale il rapporto tra il soggetto richiedente la provvidenza ed il luogo”.
La residenza deve sussistere al momento della domanda ai fini della concessione della provvidenza economica e deve permanere successivamente ai fini del mantenimento della prestazione. Nel caso di comunicazione di trasferimento della residenza all’estero o qualora, a seguito dei controlli effettuati, emerga che la residenza effettiva non risulti in Italia come invece dichiarato, la Sede procederà alla revoca della prestazione con decorrenza rispettivamente dalla data di trasferimento ovvero da quella risultante dalla documentazione che attesta la carenza del requisito.
Riguardo alle disposizioni del messaggio 12886/2008, si forniscono i seguenti chiarimenti:
a) Sospensione
La prestazione deve essere sospesa se il cittadino rimane all’estero per più di 29 giorni, salvo che il soggiorno non sia dovuto a gravi motivi sanitari documentati.
Il periodo suddetto deve intendersi come continuativo. Pertanto, se la durata della permanenza all'estero è uguale o inferiore a 29 giorni continuativi, non si deve procedere alla sospensione e, di conseguenza, la prestazione non sarà recuperata (ad esempio, non si procederà a sospensione in caso di permanenza all’estero dal 1° aprile al 29 aprile o dal 16 aprile al 14 maggio).
Se invece la permanenza supera i 29 giorni, si deve procedere alla sospensione con decorrenza dal primo giorno del mese di trasferimento.
A titolo di esempio, in caso di permanenza dal 1 aprile al 30 aprile, la sospensione decorrerà dal 1° aprile al 30 aprile; in caso di permanenza dal 16 aprile al 15 maggio, la sospensione decorrerà dal 16 aprile al 15 maggio.
b) Recupero
In caso di superamento di 29 giorni continuativi di permanenza all’estero, si dovrà procedere al recupero dell’indebito a partire dall’inizio della permanenza all’estero.
Di conseguenza, considerando gli esempi precedenti, in caso di permanenza all’estero dal 1° aprile al 30 aprile, il recupero dovrà riguardare tutto il mese di aprile; in caso di permanenza dal 16 aprile al 15 maggio, il recupero riguarderà il periodo 16 aprile - 15 maggio.
La procedura di gestione è stata impostata in coerenza con le suesposte indicazioni. A tale scopo, sarà cura delle Sedi inserire in procedura l’intero periodo di permanenza all’estero dichiarato o accertato.
c) Revoca
Decorso un anno dalla sospensione per trasferimento all’estero, le Sedi provvederanno a revocare la prestazione.
Negli esempi sopra citati, il conteggio dell’anno, trascorso il quale si dovrà provvedere alla revoca, partirà rispettivamente dal 1° aprile e dal 16 aprile.
4. Documentazione estera dei cittadini extracomunitari La documentazione estera presentata da cittadini extracomunitari, utile a comprovare l’esistenza dei requisiti di cui ai punti precedenti, è soggetta alla disciplina dell’art. 3, commi 2 e seguenti, del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, secondo cui “i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione
regolarmente soggiornanti in Italia possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani, fatte salve le speciali disposizioni contenute nelle leggi e nei regolamenti concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero”.
Al di fuori dei casi suesposti, essi “possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l'Italia ed il Paese di provenienza del dichiarante”.
Qualora gli stati, le qualità personali e i fatti non siano certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani, essi devono essere “documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all'originale, dopo aver ammonito l'interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri”.
In quest’ultimo caso, per quei Paesi che hanno aderito alla Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961, l’autenticazione dell’autorità consolare può essere sostituita dall’apostille apposta da una delle autorità identificate nella Convenzione citata.
Ne consegue che il documento tradotto che riporta l’apostille potrà a tutti gli effetti essere acquisito dalla Sede per le necessarie valutazioni istruttorie relative alla sussistenza dei requisiti di cui ai paragrafi precedenti.
A titolo di esempio, nel caso in cui il cittadino extracomunitario abbia smarrito il passaporto ovvero non sia più in possesso di quello scaduto perché restituito all’autorità competente in sede di rinnovo, le attestazioni in esso contenute potranno essere acquisite ai fini dell’istruttoria solo se riportate in un documento sostitutivo rilasciato dalla competente autorità dello Stato estero, corredato di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all'originale ovvero, qualora trattasi di autorità appartenente a Stato aderente alla convenzione dell’Aia, riportante l’apostille dell'autorità interna allo Stato straniero e la traduzione giurata in
lingua italiana.